IL TANGO A BUENOS AIRES: UN VIAGGIO INTENSO E REALE NEL MONDO TANGHERO.

 

Noi siamo la specie che abbraccia, che accoglie, che tocca…

 

Questa settimana vi proponiamo un poetico ed interessante cortometraggio sul tango argentino realmente sentito e vissuto a Buenos Aires. Il video è di Pablo Corral Vega che è tornato con la sua telecamera in alcuni degli stessi luoghi in cui ha fotografato il tango per il National Geographic Magazine (l’articolo è stato pubblicato nel dicembre 2003).

Abbiamo tradotto alcune sue considerazioni di allora sul mondo del tango che ha vissuto in quegli anni anche grazie all’amico Tito Franquelo, che lo ha introdotto in questo affascinante mondo e che nel video ci racconta questo breve ma intenso viaggio nel Tango sentito, vissuto e ballato a Buenos Aires.

Buona lettura e buona visione:

 

 


 

Per vivere è necessaria la poesia. Mi riferisco alla licenza che concediamo al mondo di toccarci, trasformarci, di farci del male; di strattonarci, di farci elevare e di farci affondare; di riscattarci, di farci esporre e mettere a nudo. Quando si vive con poesia si mettono in gioco il cuore, gli affetti, la pace. Si rischiano la mente, la pelle e le ossa.

Il tango è la musica degli immigrati – italiani, spagnoli, tedeschi che sono venuti al Rio de la Plata alla fine del XIX secolo. Avevano lasciato tutto: è naturale che il tango sia intriso di nostalgia. Ma non è una nostalgia senza redenzione; al contrario, una nostalgia che trasfigura nell’abbraccio, ancorato al dialogo dei corpi. I testi e la musica del tango sono nostalgia pura, ma il ballo è sensualità, presenza, interscambio. Redenzione.

La nostalgia e la sensualità sono necessarie l’una all’altra e si alimentano in un circolo virtuoso. Per superare la nostalgia è necessario dichiarare il trionfo dei sensi, affermare l’importanza concreta del qui ed ora. E il nostro sentire, quando è vissuto in pienezza, è poi fonte di nostalgia.

Quando sono stato per la prima volta a Buenos Aires gli spettacoli di tango mi sembravano così falsi, la sensualità così esagerata, i gesti così privi di poesia, che ho pensato che il tango era morto. In quel momento ho scritto:

“Piove e non ha smesso di piovere da quando sono arrivato. L’abbandono è fatto di pioggia, di una sfilata incessante di pioggia, di stagioni di pioggie inattese, di spazi stretti del sole tra la pioggia. L’abbandono è fatto di amori tristi, di amori segnati dal silenzio, di amori che vogliono rimanere a galla nonostante tutta la pioggia. No, non è che tutti gli amori sono tristi, ne’ che la pioggia disegni il nostro destino. No, non voglio dire questo. Voglio dire che questo lungo e profondo abbandono è fatto di altre cose più piccole, di parole non dette, di tenerezze che non hanno mai avuto il coraggio di nascere, di abbracci impossibili”.

 


 

Spinta dalla pioggia, la nostalgia mi era entrata nelle ossa. E poi il tango mi ha preso all’improvviso. Ho incontrato Tito, un poeta di strada, commerciante di vino e di scarpe, un pazzo che balla tango ogni notte della sua vita. Ho visitato con lui la notte di Buenos Aires. Ho scoperto che il tango è vivo in posti nascosti, luoghi privati che i turisti non arrivano a conoscere. Si tratta di un mondo con le sue regole.

Nelle milonghe – le sale da ballo – ci sono ancora i protettori e le casalinghe, gli amanti e le coppie di nonni, gli emarginati e i divorziati, i potenti e i Nessuno, i giovani e quelli che non hanno il coraggio di invecchiare.

Tutti nello stesso posto, giocando ruoli contrapposti, attori in una deliziosa commedia che si reinventa ogni notte. Tutti ridono e giocano a non morire. Ma quando entrano nella pista da ballo lo fanno con devozione, in silenzio, come se in quell’abbraccio si stessero giocando il proprio destino.

La definizione più rivelatrice del tango è quella che usano i vecchi della notte: il tango è l’abbraccio. Al di là della musica, della poesia lunfarda, dell’incessante flirtare e la radicale presenza dei sensi, questo è un atto umano, molto umano.

Quando ci abbracciamo riscattiamo noi stessi dall’abbandono, ci identifichiamo come membri della nostra specie. L’abbraccio è un potente strumento di alchimia: dà dolcezza inclusa nella tristezza. Noi siamo la specie che abbraccia, che accoglie, che tocca, che avvolge, che protegge. Il tango converte l’abbraccio in una poesia molto umana.

 


 

Tradotto da Andrea Fischetti per Tango Essentia
Fotografie e testo di Pablo Corral Vega

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